Santa Franca
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SANTA FRANCA E IL SUO CULTO

(del Prof. Giovanni Casali)

Il periodo che va dall’XI al XIII secolo è caratterizzato da una rinascita artistica e culturale, su fondamenta di romanità, che va sotto il nome di romanico. La società feudale si spezza, i nostri Comuni e le Repubbliche marinare di Amalfi, Pisa, Genova e Venezia acquistano indipendenza e ricchezza specialmente dopo le Crociate per la liberazione del Santo Sepolcro. L’Italia esce dall‘oscurantismo dell’alto Medioevo, acquistando coscienza morale e religiosa. Gli ordini monastici che già in precedenza costituivano gli unici fari di luce e testimonianze di civiltà, acquistano grande potenza e autorità: sono possessori e coltivatori di terre, austeri riformatori, fondatori di conventi, di ospizi, di chiese e di biblioteche, con la preziosa opera di amanuensi e di miniatori.
Col perdono di Canossa e il concordato di Worms si chiude la lotta per le «investiture» e si afferma la potenza papale contro gli imperatori tedeschi. Papato e Comuni sono alleati nella prima e nella seconda Lega Lombarda; nel 1175 Federico Barbarossa pone l’assedio per alcuni mesi ad Alessandria e successivamente si sposta verso Voghera; nel 1176 avviene la battaglia di Legnano che determina la sconfitta dell’imperatore. Nel 1182, nella chiesa di S. Antonino a Piacenza, vengono firmati i preliminari della pace di Costanza; malgrado tutto ciò, la vita ferveva nelle città per opere artistiche monumentali sia religiose che civili, per la fioritura dell’artigianato e del commercio. Quest’epoca tumultuosa è illuminata da grandi Santi:
S. Bernardo di Chiaravalle, francese (1091- 1153); S. Domenico di Gusman, spagnolo (1170 - 1221); S. Francesco d’Assisi (1182-1226); S. Chiara (1194-1253).
Sorgono per merito degli ordini monastici le grandi abbazie, le chiese conventuali in tutta Europa, e con ciò il diffondersi dell’arte romanica e, successivamente, gotica. In Italia, accanto al palazzo del Comune, sorge la Cattedrale voluta dal popolo, ansioso di conquistare dignità e prestigio sociale di paese libero, guidato dalla fede in tutte le manifestazioni del suo pensiero e dell’attività umana. Misticismo profondo e poesia sublime orientano l’uomo del Medioevo verso Dio e verso il mondo soprannaturale, ultraterreno: ne sono testimonianza l’arte romanica e la letteratura romanza.
In quel contesto storico nascono in Umbria, come si è già detto, San Francesco e la dolce sorella Chiara, canonizzata solo due anni dopo la morte; a Piacenza nasce la vergine Franca Maria Vitalta (1175-1218). L’accostamento di S. Chiara e di S. Franca non è soltanto per concomitanza di tempo, bensì per l’identica missione sociale e spirituale che esse svolsero.
Entrambe nate da nobili famiglie, sin dalla tenera età rinunciarono a tutti i fasti e agli allettamenti della ricchezza. Fondatrici di ordini e di monasteri, servirono il Signore in profonda umiltà spirituale e purezza verginale della carne, con una vita contemplativa ma non solitaria, che «…saziando di sè di sè asseta» esplicarono una attività esteriore che rivela una mirabile capacità di azione e una singolare prudenza. È lo stesso amore che avvampò nel cuore di S. Francesco d’Assisi «... acceso di quel caldo che fa nascere i fiori e i frutti santi».
Santa Franca nasce nel 1175 «da chiari genitori piacentini» discendente da nobile famiglia, che nei suoi antenati noverava consoli e podestà e andava orgogliosa soprattutto per l’integrità della fede e del costume. Vitalta, il feudo dell’antica contea dove vide la luce la nobile giovane, era posto a sud-ovest di Vernasca, su un’altura a mezza costa, dominante la Val d’Arda. La nascita, secondo la tradizione popolare, viene preceduta da un sogno profetico analogo a quelli che preconizzarono la nascita di S. Domenico e di S. Bernardo.
«La mamma ebbe ripetute volte la visione di dare alla luce una cagnolina molto vivace e che abbaiava fortemente»; preoccupata si confidò col proprio confessore, padre Attalo, che la assicurò con le seguenti parole: «Voi, signora contessa, avrete una figlia fedele, prudente e saggia, che con la sua indefessa vigilanza e con l’efficacia della sua parola, come cagnolina fedele, custodirà fedelmente la casa del Signore e abbaiando fortemente contro il demonio, riprenderà i peccati e i vizi di molti; con la sua lingua medicinale, con salutari ammonimenti risanerà le infermità spirituali e ricondurrà molte anime alla vita virtuosa e santa».
Franca venne allevata con diligenza nella pietà cristiana e nel timore di Dio. A sette anni venne affidata alle suore di S. Siro per meglio completare la sua formazione spirituale e ben presto dimostrò di superare le speranze che riponevano in lei i suoi genitori. A soli 14 anni diede prova di aver acquisito una tale maturità spirituale che a giudizio delle suore era degna di vestire il sacro velo. Fu lo stesso Vescovo Tebaldo che ottenne la dispensa per l’età, in virtù delle doti straordinarie della fanciulla e volle avere l’onore di vestirla dell’umile divisa di monaca benedettina. Pare che una zia della conversa, mentre il Vescovo la velava, vedesse scendere dall’alto un angelo che copriva con velo celeste la stessa Franca, dedicandola a Cristo purificata degli affetti mondani.
Divenuta ormai sposa di Cristo, prese ad osservare scrupolosamente con coraggio virile ciò che la regola comandava. Oltre ai soliti digiuni, per tre giorni alla settimana rimaneva a pane e acqua, serbando del primo i pezzi più belli per i poveri; nella quaresima, l’unico cibo cotto che consumava era il pane, ma il suo regime era praticamente una continua quaresima dedicata all’amore per la povertà, come per il serafico San Francesco. Frugalissimo il suo cibo: erbe crude senza sale e passate nel vino, com’era uso in convento. Dopo la recita dei servizi divini Franca serviva le inferme con carità e pazienza.
Nel 1198 morì la badessa Brizia e, com’era prevedibile, nonostante la giovane età, per decisione unanime delle cinquanta monache venne eletta, come badessa, Franca. Dotata di senso pratico, intervenne con saggezza oculata negli affari e nei contratti che riguardavano il monastero. Tollerante dei difetti altrui, non lo era affatto verso di sé: la cella più povera era la sua; avrebbe desiderato, e lo diceva spesso alle sorelle, di essere priva anche del necessario per poter più da vicino seguire Gesù ignudo sulla croce. E poiché alcune sue consorelle non erano animate dallo stesso spirito di rinuncia e di sacrificio, si dimostrava ancor più zelante per combattere la tendenza al lassismo, temperando la severità delle ammonizioni con la dolcezza e la mansuetudine, tanto che le stesse consorelle avversanti la riforma della vita monastica, non potevano non ammirarla. Ciò nonostante, alcune monache cominciarono a muovere una sorda guerra e suor Franca fu aspramente combattuta da quelle sorelle che della riforma avrebbero avuto più bisogno. Fra queste spiccava Binia, della nobile famiglia Porta, sorella del Vescovo Grimerio. Disponendo essa di cospicue aderenze, fece sì che anche il Vescovo si schierasse dalla sua parte. La persecuzione contro Franca divenne terribile. Presero parte alla contesa Uberto da Vitalta e Ruffino della Porta, uomini assai influenti: avendo occupato parecchie volte il consolato e il reggimento di Piacenza, avevano largo seguito nella nobiltà e nel popolo, sicchè la città fu divisa in due campi contrapposti. Ma Franca era stata ad una scuola che insegnava a non temere gli uomini, qualunque fosse il loro grado e la loro potenza, ma solamente Dio; e accettò le croci come celesti messaggere di un segno di predestinazione, e Dio, al quale aveva affidato la sua causa, sostenne la sua serva nel duro cimento guidandola alla vittoria.
Il Pontefice, chiamato in causa, intervenne schierandosi dalla parte della verità e si prodigò per ristabilire la pace. Lo stesso Vescovo, forse consigliato saggiamente da San Fulco (parroco di S. Eufemia), si ricredette e nel convento di S. Siro tornò la serenità.
Ma il ritorno della serenità era dovuto in primo luogo alle ardenti preghiere di Franca; chiusa nel suo monastero, non solo pregava per la pace del chiostro, ma soprattutto pregava per la città di Piacenza che era in guerra con le città vicine, dilaniata da lotte interne provocate dalle rivalità che si erano create nello stesso monastero di S. Siro. A complicare la situazione si aggiunsero anche calamità naturali. Piacenza venne inoltre colpita dall’interdetto del Papa che volle punire la città e i suoi consoli che avevano costretto il Vescovo e il clero a ritirarsi per più di tre anni fuori dalla città, a Cremona. Per merito delle fervorose preghiere di Franca e delle sue suore e della loro intercessione, Piacenza veniva restituita alla comunione dei fedeli. Ritornò la calma in città, il Vescovo rientrò col suo clero e il monastero di S. Siro costituì per la cittadinanza un esempio da seguire. Sotto la guida illuminata di Franca il monastero acquistò maggior stima e prestigio e godette di particolari privilegi e beni.
Da tempo Franca desiderava più intensa austerità e clausura, con maggior raccoglimento e preghiera. Per coronare il suo sogno fu provvidenziale il suo incontro con la nobile giovane sedicenne, cugina di Tebaldo Visconti (futuro Papa Gregorio X) Carenzia Visconti; dopo un colloquio con la badessa, col permesso dei genitori, Carenzia fu invitata a Rapallo presso il Monastero «Vallecristi» della riforma cistercense, della più stretta osservanza. Dopo un anno di soggiorno essa tornò entusiasta e decisa a farsi monaca; chiese ed ottenne dai famigliari la ricca dote che serbava per il suo matrimonio e, con l’aiuto di altri nobili, i Visconti acquistarono un vasto appezzamento di terreno sul Montelana, e, sullo spartiacque della Val Nure e della Val d’Arda, nel 1112, ebbe inizio la costruzione del convento.
Nell’alta Val d’Arda esistevano già monasteri Benedettini: quello importantissimo di Val Tolla, dedicato al Salvatore, fondato, secondo il Campi nel 680 da un certo Beato Tobia; e quello del Monte Pelizzone, sullo stesso crinale della catena di monti che chiude la Val d’Arda, al lato opposto di Montelana, la cui fondazione potrebbe forse risalire all’epoca longobarda. Entrambi i monasteri sorgevano sulla strada che collegava la Val Padana alla Lunigiana; il Convento-Ospedale Benedettino del Monte Pelizzone venne conglobato all’ospedale di Piacenza l’11 aprile 1471 (decreto del Duca Galeazzo Maria Sforza e bolla Pontificia di Sisto IV).
Già nell’estate del 1214 Carenzia e dieci compagne si trasferirono nel nuovo convento chiamato Santa Maria di Montelana, alle dipendenze del monastero di Chiaravalle della Colomba (Alseno), con l’incoraggiamento e la benedizione del Vescovo Fulco Scotti. Come da desiderio delle giovani suore, dopo pochi mesi Franca, la badessa di S. Siro, iniziatrice dell’ordine Cistercense nel piacentino, passando dalle nere lane benedettine a quelle candide cistercensi si unì a loro. Qui ed altrove ella divenne propugnatrice di quell’ordine; mantenne l’amministrazione e la direzione di S. Siro, lasciando una vicaria a sostituirla.
Nel nuovo monastero di Santa Maria di Montelana si realizzava l’aspra povertà a cui la Santa badessa tanto aveva anelato: il silenzio, la lontananza dai rumori mondani e la più difesa solitudine. Veniva così praticata la regola che S. Bernardo ripristinò dal principio alquanto affievolito di S. Benedetto «prega e lavora».
Il soggiorno biennale di Montelana si può dire che fu una diuturna e intensa conversazione di Franca col suo Dio. Scrive lo storico piacentino Pancotti: «Montelana segna, a mio avviso, il punto più saliente delle ascensioni spirituali della nostra Santa. Qui, più che negli altri monasteri, che prima e dopo ebbe ad abitare, dispiegò Franca i mirabili carismi dei quali a dovizia venne dall’Altissimo ricolmata; e qui più che altrove i caratteri della sua santità ci appaiono somiglianti a quelli della santità di Chiara d’Assisi ... Parlando S. Franca di questo suo soggiorno e delle grazie divine qui ricevute, soleva dire che Montelana fu il suo Tabor, dove discendendo portò negli altri Monasteri, da lei successivamente edificati, di Vallera e di Pittolo, il fuoco sacro che il Signore le aveva acceso in cuore» [Nota:V. Pancotti, la Mistica di Montelana].
Dopo due anni di soggiorno nel convento di Montelana venne deciso il trasferimento delle giovani monache, in considerazione dei pericoli nei quali potevano incorrere: isolate, soggette a rapine, scorrerie e saccheggi di ogni genere, dovevano anche far fronte alle difficoltà nel l’approvvigionamento. Passarono così al Monastero di Vallera e poi a Pittolo, dove, grazie alle donazioni dei nobili di Tuna, poterono costruire monastero e chiesa intitolati a Santa Maria del «Terzo Passo»: la loro terza dimora.
La grande spiritualità della nostra Santa acquista maggior risalto se si considera il suo fisico fragile, sottoposto a vita austera di incessanti digiuni e ininterrotte astinenze.
Nella primavera del 1218, dopo aver celebrato in letizia la Santa Pasqua con le consorelle, venne colta da febbre altissima che distrusse le sue residue energie e il 25 aprile all’età di 43 anni spirò in un’aura di soave beatitudine celeste. Alle consorelle rivolse le ultime parole: «Siate ubbidienti, caritatevoli, mansuete ed umili le une verso le altre ... Non basta la lampada della verginità, ci vuole l’olio della mansuetudine, della pietà, della carità».
Tanto era l’attaccamento al monastero che le suore, rispettando le ultime volontà della Santa, la tumularono nell’oratorio dello stesso monastero. La salma di Santa Franca suscitò subito viva venerazione e, successivamente, venne traslata in luoghi sempre più solenni, finchè dal 1935 trovò degnissimo riposo nella chiesa di San Raimondo, annessa al Monastero delle monache benedettine cassinesi. [Nota: In un primo tempo i resti conservati in una cassetta di piombo vennero inseriti in un bel simulacro della Santa fatto eseguire in cera e vestito con l’abito nero benedettino, ornato con la croce pettorale, il pastorale, la regola e un giglio, racchiusa in un’urna collocata sotto l’altare della Madonna. Il 27 gennaio 1975, in occasione delle celebrazioni dell’800° anniversario della nascita di Santa Franca, volute dal compianto Vescovo Mons. Enrico Manfredini, venne eseguita la ricognizione dei resti mortali della Santa per verificare l’autenticità delle ossa, per controllare le condizioni di decoro e di rispetto in cui erano conservate e di appurarne anche lo stato di sicurezza. I resti vennero poi riposti in una cassetta di acciaio inossidabile offerta dalla nuova Parrocchia di S. Franca di Piacenza a cui sono stati posti i sigilli del Vescovo Mons. Manfredini. L’urna di marmo contenente la cassetta, coperta da cristallo, venne collocata nella Cappella sinistra di chi entra nella Chiesa di S. Raimondo “ultima culla di suor Franca” e ultimo desiderio della Santa “….voglio rimanere insieme alle mie care figlie”.]
La presenza della Santa lasciò un profondo segno nella popolazione locale, che la ricordarono con una sagra assai sentita, Anche oggi al centro di prati verdeggianti e sfiorato da un se colare faggeto, sul monte si erge un rustico oratorio. Secondo i documenti relativi alle visitè pastorali conservati nell’archivio della Curia vescovile di Piacenza, la costruzione del primo oratorio risale al 1639 ma gia nel 1703 il priore di Morfasso d. Damiano Salmi ottenne dal vescovo la licenza di erigerne uno nuovo, che infatti costruì spendendo lire (vecchie) 2.353. Ma la devozione a Franca talvolta esulava al campo strettamente spirituale, tanto che il vescovo Pisani nel 1774 fece trasferire il quadro della Santa nella chiesa di Morfasso e un anno dopo ordinò la demolizione dell’edificio. Di tale sìtuazione fa cenno anche il Boccia nel suo «Viaggio ai monti di Piacenza (1805)».
L’ultima domenica d’agosto del 1824, giorno della Sagra che ricorda la presenza Franca, si inaugurò un nuovo oratorio, costruito «vicino al vecchio monastero là dove, come dice la tradizione, l’aveva edificato S. Franca e del quale si trovano ancora dei ruderi» (Visita pastorale Loschi 1785). La travagliata vicenda del sacello si concluse soltanto nel 1882 con la costruzione di quello attuale, voluto dal parroco di Mòrfasso don Lorenzo Bracchi.
Per l’affacciarsi di varie e nuove esigenze il parroco propose alla sua gente di costruire il sacro edificio nel luogo attuale, su terreno a lui donato da una signora di Piacenza. Il proposito fu accolto con entusiasmo: ogni domenica, dopo la messa, uomini e donne si avviavano verso il monte per procurare il materiale occorrente per l’edificazione: così sorse l’oratorio, fatto di sassi ma anche di sacrificio, amore e fede.
Il sacello è tuttora ben conservato; in una nicchia dell’abside custodisce la statua lignea della Santa con l’abito cistercense. Poco lontano vi è una sorgente d’acqua; secondo la tradizione essa scaturì per desiderio di Franca che le avrebbe conferito proprietà risanatrici.
Quando la Santa era ancora in vita operò molti miracoli fra le consorelle e fra i laici; altri miracoli operò nei secoli successivi alla sua morte, tanto che i conventi di S. Siro e di Pittolo divennero meta di pellegrinaggi e luoghi di culto. I fatti miracolosi riguardavano guarigioni di ciechi. Nel 1949 una monaca di S. Raimondo guarì istantaneamente dal male ad un occhio mentre pregava e toccava il simulacro che conteneva le reliquie della Santa.
Le narrazioni epistolari del suo contemporaneo Frate Lanfranco da Quartazzola e il suo primo biografo padre Reoldo (1326), ci offrono non solo documenti attendibili, ma mettono in evidenza l’eccezionale energia spirituale della Santa taumaturga. Lontana nel tempo, Santa Franca ha sempre una sua attualità. Il suo culto si propagò rapidamente e con molta probabilità fu canonizzata nel 1273 dal suo concittadino papa Gregorio X, che si era fermato a Piacenza prima di recarsi al Concilio di Lione.
Un documento di fine ‘600 firmato da Damiano Salmi priore, che si trova presso la Biblioteca Comunale di Piacenza, al titolo «Opere miracolose seguite in Monte Lana al Pozzo di Santa Franca posto nel comune di Morfasso Diocesi Piacentina. Nel mese di luglio 1698 cioè il 25 e 26 di detto Mese», racconta i vari prodigi accaduti sul monte (che allora si chiamava Monte Lana e non Santa Franca come oggi) nonchè la devozione popolare verso la Santa.
Eccoli, dunque, i miracoli: una giovane di Pedina “del tutto muta”, condotta al pozzo, “bevuta quell’acqua ricuperava la loquella”; un malato, egli pure di Pedina; “havendo un gallone e la gamba da quella parte tutta morta lavandosi con l’acqua suddetta ridiventa gagliardo”; un altro infermo, ancora di Pedina, preso da febbre acutissima e ritenendosi “sbrigato”, ossia irrimediabilmente destinato a morire, su consiglio del suo parroco beve l’acqua e viene sanato. Su questi fatti fa testimonianza il parroco di Pedina.
Vengono pure risanate una quindicenne di Boccolo affetta da mal di denti e una donna di Sperongia - Elena Ravazola di 60 anni - che soffre di male agli occhi.
Una giovane di 16 anni, di Gambaro, il 15 d’agosto, giorno dell’Assunzione, tormentata da spiriti maligni che la fanno smaniare tra urla e suoni animaleschi, viene liberata dall’acqua che il sacerdote “assistente al pozzo” le fa a forza trangugiare, e lascia in dono un vestimento intero e cioè “giuppone, socca (gonna), calcette, scarpe, fazzoletto”. Più di trenta donne “spiritate” - assicura don Salmi - sono state ugualmente sanate. La croce che si erge accanto al pozzo reca le testimonianze delle grazie ricevute dai fedeli.
Un fatto prodigioso ancor più rilevante accade poi a Piacenza: “Una monaca di S. Siro, ricevuti tutti i Sacramenti della Chiesa, abbandonata da Medici, e tenuta sbrigata, consigliata dalla infermiera o altra Monaca a bevere un boccone d’acqua del pozzo di Santa Franca di Monte Lana, acconsente, la beve, e subito per la providentia del Cielo dimanda i suoi vestimenti, e nell’istesso giorno si fa’ portare al Choro, aiuta le altre Monche a cantar il Magnificat, e nel giorno seguente da per se stessa corre alla Chiesa esaltando le glorie e miracoli di Santa Franca”. La madre badessa Maria Geltrude Anguissola conferma questi fatti al priore, il quale a sua volta è convocato dal Vescovo per esaminare gli eventi prodigiosi di cui - egli assicura - a Piacenza si parla “con ogni chiarezza, verità e allegrezza”.
Queste sono le testimonianze che il priore, con linguaggio stentato ma fede ferrea, reca, non sappiamo bene a chi, dato che nello scritto non compare il destinatario.
A parte il giudizio su queste opere «miracolose» il documento conferma la devozione plurisecolare che in una vasta area ha accompagnato il ricordo di Santa Franca Vitalta e del suo romitaggio sulla montagna che oggi porta il suo nome.
Della stessa fontana miracolosa di Santa Franca parla accuratamente il Boccia: «... Do ve sgorga vi sono due muriòciuoli di pietra ed una vaschetta quadrilunga nella quale alligna la conferva. Le acque di questa diconsi famose per l’oftalmia ed i fedeli attribuiscono loro proprietà di guarire miracolosamente ogni male. Malgrado che non vi sia più cosa alcuna di sacro, ciò nullostante la prima domenica di S. Bartolomeo vi concorre un’infinità d’abitanti di que’ dintorni, attratti dalla divozione verso questa santa e dalle acque del fonte miracoloso. Ivi pure vi accorrono venditori di vino e di come stibili ed anche dei suonatori ...».
Una documentazione figurativa, dove è evidenziato il carattere agreste della festa ci è offerta da un bell’acquerello di Stefano Bruzzi.
In tempi più vicino a noi, fra i ricordi più cari della mia infanzia vissuta nell’alta Val d’Arda, è rimasta viva in me la celebrazione della sagra che ogni anno si tiene l’ultima domenica di agosto (da qualche anno la celebrazione si tiene la prima domenica d’agosto).
Per diversi giorni, prima e dopo la ricorrenza, le strade in passato erano partìcolarmente animate, giorno e notte, per il passaggio di pellegrini provenienti da paesi più o meno lontani. Gruppi di persone si susseguivano, la maggior parte a piedi, qualcuna a cavallo, con le loro provviste. A intervalli intercalavano alle preghiere i canti creando un’atmosfera gioiosa di grande festa, alla quale tutta la valle sembrava concorrere. Per acquistare maggior meriti, diversi pellegrini camminavano scalzi.
I tèmpi sono cambiati. Sul monte Santa Franca la maggior parte dei partecipanti alla grande festa devozionale e popolare arriva ora in auto, il pellegrinaggio ha perso il carattere agreste, di antico rito; ma nell’animo dei fede li devoti alla nostra Santa vibrano i sentimenti di sempre. A distanza di 800 anni accorrono ancora a deporre ai suoi piedi le ansie, le tribolazioni, i tormenti e le preoccupazioni non inferiori a quelle che visse la Santa ai suoi tempi.
La festa, sull’alto e bellissimo pianoro (m. 1300 di altitudine) circondato da secolari alberi di faggio, è anche occasione di incontri fra conoscenti ed emigrati che, prima di ripartire dalla loro terra per lontani lidi, rendono un omaggio alla Santa e lasciano un saluto di commiato agli amici.
In quel luogo vi è un senso di grandiosità, di benedetto, di santificante; vi è un vibrare di memorie, un senso dell’ineffabile linguaggio de gli umili e dei semplici del Vangelo, ai quali viene rivelato più che ai sapienti. Questa è la mistica del Monte Santa Franca.